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Ady, Endre.

Poeta e giornalista ungherese. Nato da una nobile famiglia, crebbe in contatto con i contadini della sua terra e anche quando, compiuti gli studi liceali nel collegio calvinista di Zilah, la sua esistenza sembrò indirizzarsi secondo le scelte tipiche della classe a cui apparteneva, il ricordo della sua prima formazione rimase assai vivo e presente nel suo animo. Raggiunta la città di Debrecen, alla cui Accademia di Giurisprudenza si era iscritto, sembrò orientarsi verso la carriera giornalistica, che gli permise tra l'altro di venire a contatto con gli ambienti più progressisti della borghesia magiara, allorché si trasferì, nel 1900, a Nagyvàrad. Radicale in senso politico e sociale, colui che sarebbe divenuto il più grande innovatore della poesia ungherese del Novecento nelle prime raccolte di liriche, pubblicate nel 1899 e nel 1903, continuò ad attenersi ai moduli e agli schemi tipici della tradizione letteraria del suo Paese. Il momento decisivo per una nuova consapevolezza del poeta fu segnato da un soggiorno a Parigi, nel 1904: qui da un lato l'esperienza della poesia simbolista e dall'altro l'amore della coltissima Adele Brüll determinarono quel rinnovamento stilistico, quella sprovincializzazione, per cui ancora oggi le sue poesie costituiscono un momento decisivo per l'ulteriore sviluppo di tutta la lirica magiara. È difficile stabilire una analogia tra la poesia di A. e modelli occidentali: la sua opera sgorga dalle radici della lingua ungherese. Egli fonde in un insieme complesso e originale la lingua famigliare con il linguaggio dei soldati di Rakosi, i kuruc, e con termini della Bibbia e del Calvinismo. Lo si può accostare in un certo senso a Baudelaire, non tanto per una reale conoscenza dell'autore francese quanto per una sorta di istinto e comune sentire. Altri riferimenti possibili sono con il vitalismo dannunziano o il titanismo di Nietzsche. La sua originalità sta nell'identificare la sua tragedia personale con quella del suo popolo. Nelle sue prime opere appare il disgusto per la società capitalistica di cui si sente prigioniero, dove dominano i soldi, il denaro. La comparsa del volume Versi Nuovi, nel 1906, sollevò un notevole scalpore e divise la società ungherese in due fazioni: all'entusiasmo e alle acclamazioni dei progressisti si contrappose il rifiuto totale della maggior parte dei lettori, non disposti ad accettare tra loro chi si mostrava un pericoloso sovversivo. Anche la raccolta Sangue e oro, pubblicata nel 1908, procurò al suo autore attacchi violenti e l'accusa di incomprensibilità, di immoralità, oltre che di oltraggio alla nazione. Disgustato da tanta incomprensione, il poeta non volle comunque rinnegare il proprio operato o le proprie convinzioni, preferendo invece abbandonare la lotta e ritirarsi per lunghi soggiorni nella casa paterna, compiendo frequenti viaggi all'estero; ma egli non cessò mai di considerare con fredda lucidità lo stato del proprio Paese e le misere condizioni del suo popolo. A poco a poco la sua poesia divenne espressione non più di un conflitto individuale con la realtà, quanto piuttosto un immedesimarsi nel doloroso destino della patria. Sul carro di Elia (1908) e Amerei che mi amassero (1909) ben testimoniano tale nuovo indirizzo e preludono ai volumi successivi. La vita che fugge (1912), L'amore di noi stessi (1913) e Chi mi ha visto? (1914) sono tesi a fissare il senso tragico della visione in una poesia non esplicitamente imperniata su temi rivoluzionari. Abbandonata la nobile dama ungherese che per tanti anni gli era stata compagna, nel 1915 A. sposò la giovane ammiratrice Berta Boncza, ma anche tale nuovo legame non riuscì a dare conforto al suo animo tormentato e alla sua esistenza tesa, continuamente minacciata e logorata anche da gravi malattie. La sua ultima raccolta di versi, pubblicata con il titolo assai significativo Alla testa dei morti (1918), nacque dalla consapevolezza con cui seppe guardare non solo al proprio inarrestabile declino fisico, ma anche alle future e tremende catastrofi che, con il primo conflitto mondiale, si sarebbero abbattute sul suo popolo. Così l'opera postuma Le ultime navi echeggia di toni cupi e di minacciosi preludi che richiamano i salmi biblici e le profezie del Vecchio Testamento. La figura e la personalità di A. non sono dunque soltanto documenti dell'esistenza e della visione del mondo di un poeta, ma implicano uno stretto rapporto con la situazione e la lotta politica di un Paese nel momento in cui le sue contraddizioni interne appaiono con una singolare e drammatica evidenza. In una Ungheria che ancora viveva in una condizione semicoloniale, alle dipendenze di quella Monarchia austro-ungarica che sanzionava lo strapotere assoluto della dinastia asburgica e che vedeva al suo interno dominare il potere e la corruzione della aristocrazia feudale, dell'alto clero e dei ceti capitalistici in ascesa, A. si fece strenuo sostenitore e cantore di quella rivoluzione democratica borghese sconfitta nel 1848. Poeta e giornalista militante del pensiero radicale borghese e anticlericale, la lucidità della sua posizione e della sua intelligenza lo portarono ben presto a differenziarsi dai suoi stessi compagni di lotta; cosciente infatti dell'incapacità di rinnovamento da parte della borghesia nazionale, non esitò ad abbracciare e sostenere la causa degli operai e dei contadini, gli unici depositari dei valori che avrebbero potuto assicurare a tutti la possibilità di un futuro migliore e più sereno (Érmindszent, Transilvania 1877 - Budapest 1919).